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L'accademico assassinato

18 Marzo 1886

(DI THANE MULLEN, DOMITILLA D'AMICO & MARCO INFUSSI)

Le prime settimane del marzo 1886 furono per me e Sherlock Holmes un periodo terribilmente noioso. Gli intrighi del passato lasciavano il posto ad un tedio floscio, e vedevo Holmes scalciare dall’insofferenza tanto che – in mancanza di stimoli intellettuali – finiva per dilapidare le sue giornate per taverne e fumerie. Ma il 18 Marzo avrei preferito di buon grado la noia, anzichè ricevere quella notizia.

Fuori dal 221B di Baker Street, si avvertivano appena i primi deboli rumori del mattino, quando Holmes mi butta giù dal divano con un colpetto in fronte, e si mette ad agitare in aria un foglio del Times arrotolato. Dischiusi gli occhi, un titolo enorme mi scende davanti, facendomi sobbalzare.

«Un vostro amico, Watson? Forse un vostro paziente?» mi sento chiedere.

«Dio buono, no… Firk no…» metto a fuoco bene, ed ancora mi pareva impossibile: Lord Firk Wolmer pugnalato a morte appena fuori il London University College.

«Vi prego Watson, tiratevi su in piedi. Ci servono le vostre informazioni. Mi sembra di ricordare che lo scorso inverno avete nominato Lord Wolmer in più di qualche occasione. Recuperava da qualche malattia, vero? E voi vi siete recato presso il suo domicilio, vero?»

«Era malato da diversi anni, fino al punto che gli era difficile lasciare casa per curarsi. Così la moglie mi aveva pregato di visitarlo. Ma come è possibile: un Lord, un uomo di quella levatura culturale, una cara persona… morto ammazzato così? In pieno centro e in orario di lavoro? Londra non è una città sicura».

Con un cenno del capo, Holmes indicava di non divagare, pungolandomi anzi nel dar fondo ai miei ricordi.

«Holmes, per carità, ho ancora gli occhi incollati. Che brutto modo di svegliarsi. Vediamo se riesco a mettere a fuoco qualcosa: la prima cosa che mi torna in mente di Wolmer è il suo armadietto dei medicinali, pieno di veleni: c’erano decine di farmaci pericolosi. Negli anni aveva visto così tanti medici, che gli avevano prescritto di tutto pur di curare una sua ma- lattia. Cosa fosse in origine, non s’è mai capito; ma dall’inizio di questo novembre gli raccomandai di smetterla con quei mi- scugli, e mi ascoltò. Infatti per la fine di febbraio mi parve discretamente ristabilito: doveva essere un avvelenamento. Si è rimesso in carreggiata bene: in quel periodo ha subito accettato un posto al London University College, come direttore del dipartimento di filosofia, e questo certo l’ha aiutato a ristabilirsi anche psicologicamente».

Holmes continuava a scandagliare il giornale: «Sembra che Lord Wolmer sia stato pugnalato ieri mentre stava lascian- do il College. Riuscite a pensare a qualcuno che gli volesse male?»

Ero ormai completamente sveglio ed attorno al tavolo con gli altri irregolari: «Durante una delle mie ultime visite, ebbi una conversazione con la moglie Maud. Sosteneva che il suo incarico al dipartimento avesse risvegliato il filosofo che era in lui. Disse che prima di allora non era mai stato uno che si avventurasse, e invece s’era cacciato in più di un dibattito pubblico, per attriti di natura ideologica. Erano nate molte chiacchiere. Ma non penso che cose del genere possano spingere qualcuno ad uccidere».

Sherlock Holmes fissa tutti, uno ad uno: «Sapete chi erediterà il titolo di Lord?». Silenzio attorno al tavolo. «Holmes, conosco anche suo fratello minore Charles. E’ gente pragmatica, poco gli interessa il valore del titolo».

«Di sicuro questa storia ha tutte le caratteristiche di un affascinante diversivo, Watson. Ho già una mia idea, che devo investigare. Tuttavia, se il caso vi colpisce così da vicino, interessatevene voi e Wiggins: ve lo affido, sono certo che sarà in buone mani. Ma mi raccomando Watson: tenete il cuore nel cassetto».


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